lunedì 17 novembre 2014

#9 cambio famiglia

Ebbene sì, scrivo questo post da una nuova casa, seduta in un nuovo soggiorno, su un nuovo divano, circondata da nuove persone. E ora posso dirmi davvero felice.

La realizzazione
Ho realizzato di voler cambiare famiglia la notte in cui sono stata in ospedale. Mi sentivo abbandonata, sola e mi sembrava (e così credo tutt'ora) che la mia hostfamily fosse venuta meno nel momento più importante, ovvero quando io avevo bisogno di loro. Non è stata una scelta facile, la prospettiva di cambiare mi spaventava e ancora di più mi spaventava l'idea del confronto, ma ho saputo che era la cosa giusta da fare quando, alla sola idea di andarmene, mi sentivo più leggera.

Il confronto
Tornata a casa dall'ospedale ho però poi dovuto parlare con Anita e ho deciso mentre lo stavo facendo che avrei detto tutta la verità, fino in fondo.
Così le ho rivelato le mie intenzioni, chiarendole le mie motivazioni e le ho chiaramente che volevo cambiare famiglia, perché non ero più felice.

La reazione
Fortunatamente, non sono stata mandata a calci fuori di casa come è successo ad altri exchange che conosco (tra cui le mie amiche Mette e Antonia), ma tutti i rapporti sono mutati. Da parte mia, non mi sentivo più in dovere di sforzarmi, non mi importava più legare con delle persone che avevano tradito la mia fiducia. Loro, invece, avevano iniziato ad essere iper gentili e pieni di attenzioni.

L'attesa
Una volta comunicato ad Interstudies che volevo cambiare famiglia, mi era stato detto che di famiglie nella zona ce ne erano pochissime e che, nel caso non ne avessero trovata nessuna, se avessi comunque deciso di cambiare, avrei dovuto cambiare totalmente area, città, scuola. Tutto, insomma. Ricominciare da capo.
Non era quello che volevo, ma se avessi dovuto scegliere fra quello e restare, sarei andata via.

La ricerca
Alice, la mia area-rep, mi aveva detto di darle qualsiasi contatto io avessi per una possibile famiglia e così io le avevo dato quelli di una signora, la cui figlia era ricoverata con me in ospedale e che, vedendo la mia Odissea, mi era venuta gentilmente incontro.
Allo stesso tempo ero anche andata a parlare con la preside del Sixth Form della mia scuola, che a sua volta aveva parlato con una prof e che, alla fine, ha però detto che stava già ospitando altri studenti e non aveva più posto.
È stato un periodo difficile. Non avevo voglia di tornare a casa, nè di starci' nè di fingere che così non fosse. Allo stesso tempo, dovevo controllarmi e dosare la mia speranza, per paura di rimanere delusa.

La rivelazione
E poi è successo.
Ero all'ospedale per richiedere alcuni esami per la mia salute di ferro (ahah), quando mio papà mi ha scritto un messaggio, dicendomi di aver ricevuto una mail della WEP in cui veniva confermato il mio trasferimento a casa della mamma della signora dell'ospedale.
Io, da sola seduta nella sala d'attesa di uno dei reparti dell'ospedale, sono scoppiata a ridere. Immaginatevi la scena.
È stata una sensazione magnifica che mi ha dato la forza per resistere altri quattro giorni fino a quando, finalmente, domenica ho cambiato casa.

La nuova famiglia
Ora quindi vivo in un'altra parte di Ramsgate con Alison, una signora di 58 anni che lavora nella sanità e il suo figlio minore Joshua (Josh), di 25 anni che sta avviando un'attività. In più in casa c'è anche Diff, il cane.
La signora ha anche un'altra figlia, Jody, ovvero la mia compagna di stanza all'ospedale. Lei, però, vive fuori casa con i suoi due figli, Harry, di quasi 8 anni e Tom, 5.
Le cose qui sono semplicemente perfette.
In famiglia si parla, ci si confronta, si fanno attività insieme e tutti mi hanno accolta benissimo. Josh, all'apparenza timido e riservato, si apre ogni momento di più (e sono qui solo da due giorni!). Mi sembra di vivere un sogno, di nuovo in una famiglia come si deve, con dei legami degni di questo nome, che per due mesi e mezzo avevo cercato di trovare nei freddi, distaccati, distanti modi della mia ex (che gioia dirlo!) famiglia ospitante.

Quindi rieccomi dove avevo iniziato.
Serata tranquilla, solo noi tre a casa e un luminoso proseguimento che mi attende.

"Blackbird singing in the dead of night
Take these broken wings and learn to fly"
Blackbird - The Beatles

sabato 8 novembre 2014

#8 l'Halloween piu' spaventoso della mia vita

Ho scritto e cancellato questo post già svariate volte.
Volevo scrivere qualcosa di posato, non sbilanciarmi troppo. Non cadere nel filosofico, nel poetico, non essere troppo sentimentale, né troppo fredda.
Ma mi sono stancata, quindi questo che leggerete é l'ultimo tentativo, nessuna correzione postuma o ripensamento.

É venerdí pomeriggio, Halloween, e il male allo stomaco che un mese fa mi aveva spinto ad andare a sentire il parere di un medico ritorna. Inizialmente é solo un fastidio, una piccola, trascurabile, scomoda fitta. Poi peggiora.
Peggiora in fretta, tanto che non riesco a toccare cibo, né a stare propriamente dritta. Sono quasi le cinque quando decido di andare dal dottore prima che sia troppo tardi, il weekend è alle porte e non avrò la possibilità di andarci poi.
Mi incamminò così verso la clinica che fortunatamente non é distante da casa mia, ma mi ci vogliono quindici minuti buoni per arrivare, perché ad ogni passo corrisponde una fitta incredibile, che mi toglie il respiro.
La testa mi gira e devo sedermi più volte, ho la vista appannata e, una volta arrivata alla clinica, svengo.
Dopo essermi ripresa, vengo visitata da un paio di dottori, alcune medicine mi vengono prescritte e la segreteria fa venire Anita a prendermi ma, nell'attesa, svengo di nuovo. Il dottore mi spiega che potrebbe essere perche' tutte le mie forze sono concentrate sul male allo stomaco e non altrove.
Una volta arrivate a casa, Anita mi da' alcune delle medicine prescritte dal medico ma, neanche cinque minuti, vomito tutto. Le pastiglie, il cibo, quasi quasi anche l'anima.
Decidiamo cosi' di chiamare l'ambulanza e, non molto tempo dopo, il paramedico arriva a casa nostra e inizia a farmi delle domande per delineare al meglio il dolore e cercare di capirne la causa. 
Controllati i medicinali che mi erano stati precedentemente dati, nota che non corrispondono esattamente a quelli che mi erano stati prescritti e che potrebbero essere la causa dell'aggravarsi della situazione. 
In Inghilterra, mi viene spiegato, prima di andare all'ospedale bisogna accetarsi che la situazione sia veramente grave, percio' mi visita sul divano in soggiorno e mi somministra nuovamente le medicine, questa volta quelle esatte.
Passa una mezz'ora, ma il male e' sempre presente, sempre della stessa intensita'.
Cosi' vado all'ospedale con la macchina del paramedico, mentre Anita resta a casa perche' il giorno dopo deve andare a lavorare.
Arrivo alle otto in un ospedale pienissimo e quasi surreale. Mentre aspetto, sono seduta tra un vampiro e una principessa e sulla gente che entra ed esce dalle varie porte, non si riesce a distinguere fra sangue vero e succo di pomodoro. 
La prima infermiera mi fa alcuni controlli due ore dopo, per poi mandarmi nuovamente nella sala d'attesa fino alle unidici e mezza, quando una seconda infermiera, munita di brillanti ali rosse da diavolo (?) mi preleva il sangue e mi conduce fino alla zona riservata alla pediatria.
Qui, essenzialmente, aspetto. Due dottori diversi mi visitano e, quando arrivano i risultati degli esami del sangue, mi viene detto che dovro' passare la notte in ospedale per degli accertamenti.
Nell'ora che ancora manca prima che mi venga dato un letto, mi sale il panico.
I denti mi fanno male da quanto li stringo, come risposta alla morsa nello stomaco, accentuata dal vuoto che piano piano si allarga nel centro del petto. La nostalgia arriva prepotente e violenta e non riesco a non piangere. La batteria nel cellulare e' quasi finita e cosi' la mia famiglia, quella che non mi avrebbe mai lasciato sola tutta la notte in un ospedale, mi sembra ancora piu' lontana.
Cosi' le infermiere prendono il suo posto, coccolandomi nei rari momenti buchi e rivolgendomi sempre un sorriso, tra il materno e il compassionevole.
Finalmente, alle quattro del mattino, mi viene assegnato un letto e cado in un sonno disturbato.
Da questo momento, la strada si puo' considerare in discesa.
Il giorno seguente mi prelevano nuovamente il sangue, faccio conoscenza con le altre donne in camera con me, mangio il cibo dell'ospedale che non si differenzia poi tanto da quello che ho mangiato fuori e la sera mi rimandano a casa, dicendo che dovro' tornare per altre analisi del sangue e uno scan all'addome.

Nel silenzio della camera d'ospdele ho avuto tanto tempo per pensare ad ogni cosa, per piangere via tutto il mio trucco, per calmarmi, respirare piano e tornare a pensare.
Mi sono trovata in una situazione che non auguro a nessuno. Sola, lontana da casa, dolorante, spaventata, arrabbiata, impotente.
Ma non ho mai smesso di lottare e questa e' una cosa che vorrei passasse, lo spirito battagliero vi servira', se volete fare l'anno all'estero. Vi servira' sempre e bisogna trovarlo anche quando non si ha la forza nemmeno di tenere gli occhi aperti.
Concludo ringraziando anche qui tutti quelli che mi hanno scritto per sapere come stavo, chi si e' preoccupato, chi mi ha piacevolmente sorpreso. Ringrazio i miei genitori, la mia famiglia, i miei amici per avermi aiutato a resistere, a sentirmi meno sola. Grazie davvero.


"Maybe it's not my weekend,
but it's gonna be my year"

xx
Giulia