Questa sera vi scrivo sulle note di "Are we the waiting" da Bullet in a Bible dei Green Day perché ho finalmente sistemato la mia camera e attaccato lo stereo che Alan, l'ex marito della mia host mum, mi ha prestato. Un giorno farò un post sulle relazioni nella mia famiglia ospitante, forse, e le cose saranno più chiare, ma per ora vi lascio questa gran confusione in testa che a me ha fatto compagnia per il primo mese vissuto qui.
Ma ora, penso che il momento sia arrivato. Vissuta, la settimana scorsa, la mia volta numero quattro (o cinque?) in ospedale, penso di essere sufficientemente informata per potervi dare un'idea di come funzioni qui in Inghilterra.
Si parla, quindi, di ciò che ho potuto notare io da Ottobre a questa parte e mi riferisco solamente al trattamento riservato al pronto soccorso (con una piccola digressione nella permanenza notturna), senza però entrare nello specifico nè trattando particolari malattie/cose strane poiché posso solo riferirvi quanto ho visto e vissuto.
Si parla, quindi, di ciò che ho potuto notare io da Ottobre a questa parte e mi riferisco solamente al trattamento riservato al pronto soccorso (con una piccola digressione nella permanenza notturna), senza però entrare nello specifico nè trattando particolari malattie/cose strane poiché posso solo riferirvi quanto ho visto e vissuto.
Appena arrivati nel nostro ospedale-tipo, quindi, arranchiamo doloranti fino al banco della reception, dove un amministrativo prende i nostri dati (nome, età, indirizzo), ci trova sul server (quindi è meglio essere registrati ad un GP, ovvero un medico di base) e annota il nostro problema e se/quando abbiamo preso le ultime medicine.
Ci dice poi di accomodarci sulle sedie meno invitanti dell'universo e passa alla persona dietro di noi, mentre noi facciamo quanto ci viene detto e ci stringiamo fra estranei dalla pessima cera e bambini sempre troppo rumorosi.
Bene, ora aspettiamo e speriamo con ogni cellula del nostro corpo provato che non arrivi un ambulanza, che non ci sia un'emergenza, che non arrivi una donna a cui si sono rotte le acque nè tanto meno un operaio a cui mancano tre dita. Fissiamo intensamente la porta da cui il nostro nome verrà urlato (e storpiato) e intanto speriamo che qualcuno passi a distribuire antidolorifici allo stesso modo in cui le hostess sull'aereo offrono il caffè (paracetamolo? codeina?).
Poi, finalmente, ecco la voce angelica (molto spesso no, non illudetevi) che ci chiama e arriviamo al cospetto di una coppia di infermieri (o a volte un'infermiera e un medico) che ci fanno domande sulla nostra condizione, ci misurano la pressione e la temperatura e -Dio li benedica- cacciano fuori gli antidolorifici (una volta ho vinto direttamente la morfina, ma probabilmente è stata tutta fortuna).
Da qui si ritorna in sala d'aspetto fino a quando un'altra infermiera non ci chiama e ci preleva il sangue e poi torniamo ad aspettare, questa volta in una delle sezioni più interne dell'ospedale, nella speranza di un medico.
Questi finalmente arriva, ci visita e da qui le nostre strade si dividono, poichè ognuno viene smistato nel reparto più consono.
Ci dice poi di accomodarci sulle sedie meno invitanti dell'universo e passa alla persona dietro di noi, mentre noi facciamo quanto ci viene detto e ci stringiamo fra estranei dalla pessima cera e bambini sempre troppo rumorosi.
Bene, ora aspettiamo e speriamo con ogni cellula del nostro corpo provato che non arrivi un ambulanza, che non ci sia un'emergenza, che non arrivi una donna a cui si sono rotte le acque nè tanto meno un operaio a cui mancano tre dita. Fissiamo intensamente la porta da cui il nostro nome verrà urlato (e storpiato) e intanto speriamo che qualcuno passi a distribuire antidolorifici allo stesso modo in cui le hostess sull'aereo offrono il caffè (paracetamolo? codeina?).
Poi, finalmente, ecco la voce angelica (molto spesso no, non illudetevi) che ci chiama e arriviamo al cospetto di una coppia di infermieri (o a volte un'infermiera e un medico) che ci fanno domande sulla nostra condizione, ci misurano la pressione e la temperatura e -Dio li benedica- cacciano fuori gli antidolorifici (una volta ho vinto direttamente la morfina, ma probabilmente è stata tutta fortuna).
Da qui si ritorna in sala d'aspetto fino a quando un'altra infermiera non ci chiama e ci preleva il sangue e poi torniamo ad aspettare, questa volta in una delle sezioni più interne dell'ospedale, nella speranza di un medico.
Questi finalmente arriva, ci visita e da qui le nostre strade si dividono, poichè ognuno viene smistato nel reparto più consono.
I reparti sono quasi sempre tutti maschili o tutti femminili e sono composti sia da camere singole/doppie che da stanze più ampie in cui di letti ce ne stanno cinque/sei.
I pasti vengono serviti a letto come in Italia e c'è anche abbastanza scelta, mentre per quanto riguarda la qualità, beh, non è poi tanto peggio dello standard medio inglese.
Una volta segnati come sani e ottenuto il permesso di andare a casa, possiamo infine uscire dalla porta principale sorridendo alle infermiere zuccherose e sperando forte di non ritornare lì dentro mai più.
I pasti vengono serviti a letto come in Italia e c'è anche abbastanza scelta, mentre per quanto riguarda la qualità, beh, non è poi tanto peggio dello standard medio inglese.
Una volta segnati come sani e ottenuto il permesso di andare a casa, possiamo infine uscire dalla porta principale sorridendo alle infermiere zuccherose e sperando forte di non ritornare lì dentro mai più.
"And I’m holding on for dear life, won’t look down won’t open my eyes
Keep my glass full until morning light, ’cause I’m just holding on for tonight"
xx
Giulia
Giulia
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